La crisi c'è in tutto il mondo, ma la verità emersa anche al convegno tenutosi il 12 Ottobre 2012 in occasione del 52° salone nautico internazionale di Genova è che chi ha la capacità di acquistare un'imbarcazione continua a farlo; purtroppo lo Stato italiano, attraverso le ispezioni ed il clima di terrore fiscale instaurato, ha fatto sì che i diportisti italiani si allontanassero dalle loro passione.
Nel mondo, la barca è vista come un bene di consumo come tutti gli altri, mentre in Italia vi è il luogo comune che i contribuenti possessori di un mezzo nautico si siano arricchiti in mondo non trasparente: un collegamento logico perverso che ha contribuito in modo negativo all’attuale stato della nautica italiana. Un controllo ossessionato in mezzo al mare, l'istituzione della tassa di stazionamento, poi convertita in tassa di possesso, ha provocato la massiccia fuga all'estero delle barche italiane oltre al mancato arrivo di quelle straniere. Certo, trasformare la tassa di stazionamento in tassa di possesso è stato visto come un provvedimento opportuno, ma oramai il dado era stato tratto. Difatti i dati attuali, rapportati a quanto emerso dall'indagine del gennaio scorso svolta dall'Osservatorio per verificare l'impatto dell'adozione della tassa di stazionamento (come detto poi trasformata in tassa di possesso) hanno mostrato che la contrazione dell'occupazione di posti barca dall'inizio dell'anno si è notevolmente aggravata, passando dal -17% di gennaio al -26% di luglio 2012. Il Governo prevedeva di incassare 160 milioni di Euro dalla tassa di possesso sulle unità da diporto...ne ha incassati appena 26. La tassa era stata concepita come strumento di equità sociale, a fronte dei tagli delle pensioni, ma ha rappresentato, nei fatti, l'ultimo colpo di una generale politica fiscale piuttosto aggressiva nei confronti del settore della nautica che ha portato alla vendita di migliaia di imbarcazioni. Comunque, negli ultimi dodici mesi, il settore nautico ha potuto contare, oltre che sulla trasformazione della tassa di stazionamento in tassa di possesso, sul riconoscimento dei titoli professionali italiani nel sistema inglese, sulla semplificazione di alcune procedure per le imbarcazioni da diporto, sul noleggio facilitato delle barche, sulle semplificazioni doganali per l'esportazione. Un tema molto sentito dal diportista nautico è dato certamente dallo spesometro: tale istituto poggia la sua essenza sulla ricostruzione induttiva del reddito del contribuente attraverso la sua spesa, ma non è sicuramente agevole collegare la spesa al reddito; basti pensare che ogni contribuente spende a modo suo. Ad esempio, un soggetto appassionato di barche sarebbe disposto a spendere di più per acquisire quel bene, dato che associa allo stesso un maggior peso rispetto ad un altro soggetto, invece amante di oggetti di antiquariato, il quale spenderebbe di più per l'acquisto di un quadro piuttosto che per una barca: però, a parità di reddito del contribuente, il punto di vista dello Stato non dovrebbe cambiare. Purtroppo tale ricostruzione induttiva (dalla spesa al reddito) finisce per relegarsi in una costruzione rigida che esula dalla singolarità e dalla realtà del contribuente. La questione che oggi affrontiamo inerisce alla possibilità di difesa del contribuente nei confronti del fisco: il punto di partenza non può che essere l'inquadramento giuridico di tale istituto: l'Agenzia delle Entrate parte da un elemento di sua conoscenza (la spesa) per arrivare ad un altro elemento che non conosce (il reddito del contribuente). Il problema è, dunque, capire se si agisce nell'alveo delle presunzioni legali o semplici, perchè in base a ciò l'Agenzia, il contribuente ed il giudice adotteranno diverse strategie e/o cambieranno i loro orientamenti. Pertanto, se siamo nella presunzione legale, all’Agenzia basta dimostrare la spesa ed il relativo indice. Ma se siamo nella presunzione semplice, l'Agenzia non può limitarsi ad affermare di poter provare la spesa ed il relativo indice, ma deve convincere il giudice che a quell’indice corrisponde quel reddito anche con altri mezzi di prova ed informazioni. All’uopo, vale la pena ricordare che al 4 comma dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973 il legislatore usa l'espressione “si può risalire al reddito”: da tanto si evince che se il legislatore avesse voluto usare l’espressione “si deve” ben avrebbe potuto farlo, o comunque si sarebbe espresso in modo diverso. Da tale assunto potremmo affermare che ci si trova nell'alveo delle presunzioni semplici e non legali. In conclusione, se gli strumenti fossero gestiti in modo flessibile e non rintanati in una rigidità che finisce per esulare dalla realtà del contribuente, gli stessi sarebbero utili; e se si potesse essere a conoscenza dei modi in cui gli stessi fossero calcolati, il contribuente avrebbe l'opportunità di difendersi in modo adeguato e sensato, perché da un lato lo spesometro rappresenta un giusto mezzo di equità fiscale, ma dall’altro non dovrebbe mai orientare le scelte del contribuente, penalizzando o favorendo alcuni beni a discapito dell’economia. Tale istituto, invece, dovrebbe semplicemente fotografarne la capacità di spesa del contribuente. In conclusione, a parere di chi scrive, la revisione dello spesometro potrebbe anche favorire il rilancio della nautica da diporto. Milano, 06 novembre 2012 Dott. Francesco De Giosa Studio legale - commerciale De Giosa |