1. Il contratto di ormeggio in genere. La crescente diffusione della nautica da diporto ha da un lato favorito, e tutt’ora favorisce, il proliferare dei c.d. porti turistici, dall’altro ha contribuito alla recente e lungamente attesa emanazione del nuovo codice della nautica da diporto. Il d.lgs. del 18 luglio 2005, n. 171, rispondendo all’esigenza di regolare in maniera più snella ed armoniosa una materia riccamente investita negli ultimi tempi da diversi interventi normativi sorti anche al fine di adeguarsi ai regolamenti comunitari, ha però tralasciato di disciplinare il contratto di ormeggio. Questa inspiegabile lacuna del codice ha fatto sì che l’uso in concessione del posto barca sia rimasto nel limbo di un vuoto normativo dove, invece, sarebbe stato più che auspicabile l’intervento del legislatore; infatti, l’assenza di norme chiare al riguardo, unitamente ad un’offerta di posti inferiore alla sempre crescente domanda, consente ai concessionari di porsi come parte contrattuale forte rispetto all’utente. Ciò produce spesso nella prassi uno squilibrio contrattuale notevole, vedi l’emissione di formulari contrattuali raramente uniformi, limitazioni di responsabilità a vantaggio del concessionario e, d’altra parte, un eccessivo aggravio di costi ed un’esposizione ad una vasta quantità e qualità di rischi a carico del diportista. Questi accordi negoziali fra le parti, tesi ad instaurare negozi giuridici meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento, aderiscono a seconda dei servizi offerti dai concessionari delle strutture alle tipologie del contratto di locazione o di deposito. Infatti, se l’oggetto del contratto è limitato unicamente alla messa a disposizione dello spazio portuale ed alla sua fruizione al solo fine dell’ormeggio, tale contratto sarà assimilabile ad un ordinario contratto di locazione. Da questo punto di vista, possono sorgere problemi solo nel caso in cui, nell’eventualità di danni alla stessa struttura ed alle imbarcazioni ormeggiate, lo spazio predisposto non fosse idoneo a garantire la sicurezza delle ultime, ravvisandosi in ciò una responsabilità del gestore del porto per vizio della cosa locata. Diversamente, la seconda figura negoziale poc’anzi descritta è, ovviamente, quella che crea maggiori problematiche, non legate esclusivamente al piano teorico. Qualora l’oggetto del contratto sia più ampio, comprendendo servizi quali l’erogazione di acqua ed energia elettrica, assistenza, ivi inclusa la divulgazione di bollettini meteo (circostanze che per la giurisprudenza e la dottrina rientrano fra i requisiti del contratto di somministrazione, quantomeno se valutati singolarmente e non nel loro complesso), fino all’affidamento dell’imbarcazione al gestore del porto, si ravvisano i canoni del contratto di deposito, rilevando al riguardo fra le sue peculiarità l’obbligo di custodia. Data la natura atipica del contratto di ormeggio e l’evidente difficoltà di risalire ad una figura negoziale ben definita, elementi utili ed indispensabili all’individuazione della disciplina cui esso soggiace sono, oltre quanto riportato nel contratto, l’interpretazione effettiva della volontà delle parti e le prestazioni in concreto offerte. In tal senso, è opportuno chiarire che, in assenza di clausole volte ad escludere nettamente l’obbligo di custodia, la pur sporadica giurisprudenza ha ritenuto di applicare al contratto di ormeggio le norme disciplinanti il contratto di deposito in relazione al fatto che il diportista raramente stipula tale accordo al solo fine di assicurarsi il godimento dello spazio acqueo riservatogli, volendo allo stesso tempo usufruire delle prestazioni accessorie messe a disposizione dal concessionario/gestore. Occorre, inoltre, precisare che, pur in assenza di specifiche pattuizioni contrattuali, la custodia del bene, se prevista, deve intendersi estesa a tutte le strumentazioni presenti sull’imbarcazione e strettamente legate alla navigazione, costituendo un tutt’uno con il medesimo natante. Quanto al profilo della responsabilità del concessionario in relazione al fondamentale obbligo di custodia, se ne evince che, stando alla teoria prevalente, costui andrà esente da responsabilità ogniqualvolta provi che l’esatto adempimento sia mancato nonostante egli abbia eseguito le regole dell’ordinaria diligenza; ossia, non è sufficiente appellarsi al caso fortuito o alla forza maggiore, ma è necessario un quid pluris riscontrabile nella prova che l’eventuale danno sia derivato da causa a lui non imputabile come richiesto dall’art. 1218 c.c.. Si può concludere che, mentre nella prassi il rapporto concessionario-utente pende a favore del primo, la giurisprudenza sembra tutelare maggiormente il diportista forse in considerazione della mancanza di un istituto apposito che detti regole precise cui fare riferimento ed in forza dell’elemento psicologico che spinge l’utente a ricoverare la propria barca presso i porti turistici, realizzando una sorta di affidamento del bene. 2. Ormeggio di transito. Per definire cosa s’intende per “ormeggio di transito” è necessario operare una distinzione avente ad oggetto il ricovero dell’imbarcazione ai fini del suo frequente utilizzo e l’uso del posto barca in relazione ad una lunga inattività. Mentre nel primo caso la sosta dell’imbarcazione è strumentale alla sua utilizzazione, ad esempio nel periodo estivo, nel secondo caso la fruizione del posto barca è volta ad una sosta duratura, tesa ad assicurare al natante uno stabile riparo oltre che alle ordinarie attività di manutenzione e/o di rimessaggio del medesimo. Sostanzialmente, dunque, per ormeggio di transito s’intende quell’attività collegata alla navigazione per svago, sport, ecc., praticata soprattutto d’estate e che si realizza facendo delle tappe nei porti turistici mentre si raggiungono nuove destinazioni. Come si può intuire, la rilevanza di tale consuetudine è altissima, ma, anche in questo caso, i diportisti devono fare i conti con una realtà diversa; assicurarsi, infatti, un posto per una breve sosta d’estate è estremamente complicato sia perché nella maggiorparte dei casi occorre prenotare con largo anticipo sia per i limitati spazi messi a disposizione. Detta situazione trova origine anche nella mancanza di una norma legislativa che tuteli tale forma dinamica di ormeggio, nonostante la circolare 47/96 disponga di riservare alle unità in transito una quota di posti barca non inferiore al 10% sia per gli approdi turistici da costruire e gestiti in regime di concessione demaniale che per i porti pubblici, o parte di essi, allestiti e gestiti da concessionari. Bisogna, però, operare un distinguo: tradotta nella prassi, tale norma prevedeva per le strutture già esistenti l’obbligo di praticare tariffe agevolate; per quelle da realizzare imponeva sia la suddetta distribuzione percentuale, sia l’applicazione di un tariffario ridotto. Tale disposizione normativa si premura, inoltre, di demandare alle preposte autorità marittime l’obbligo di vigilare sul rispetto delle indicazioni in parola, prevedendo altresì che l’inosservanza delle medesime possa comportare anche la decadenza dalla concessione ai sensi dell’art. 47, lettera f , del codice della navigazione. Però, affinché tale rigorosa disciplina non rimanga lettera morta, sarebbe oltremodo utile una formalizzazione legislativa che miri ad aumentare la competitività degli approdi italiani; occorre, infatti, tenere nella giusta considerazione la scelta operata da molti diportisti stranieri, i quali, insoddisfatti del servizio offerto loro, spesso preferiscono sostare in altri porti del Mediterraneo o limitare allo stretto necessario la permanenza presso gli scali nostrani. Dott. Nicola De Giosa
|